Sono precipitato da un muro alto15 metri e sono morto.
Nel cadere ho pensato a Dio.
Per vincere la paura, ho chiuso gli occhi ed ho giunto le mani intrecciando le dita.
Ho aperto il cuore ed ho parlato per delle ore.
Ma erano secondi, quasi tre lunghissimi secondi.
- Dio, fammi morire subito, non voglio diventare un vegetale.
- Dio, fammi vivere, a qualunque costo.
Poi, mentre le dita si conficcavano nei dorsi delle mani e gli occhi sembravano sanguinare sotto la pressione delle palpebre, ho realizzato.
- Non posso andarmene così.
- Devo scattare l’ultima foto prima dell’istante di dolore che offuscherà ogni cosa.
Ho spalancato gli occhi per un attimo.
Vedo un albero, la sua aiuola, un disegno sul muretto davanti a me, una piccola giostra ed uno scivolo, tanti colori, tantissimi colori e le nuvole lontane mi sembrano cavalli al galoppo sull’acqua.
Vedendo queste belle cose ho pensato ai palloncini delle feste ed a quanti me ne sarebbero serviti per frenare quella corsa verso la morte.
Anche se le ossa delle gambe si frantumano in una frazione di secondo, conficcando i femori attraverso il bacino negli intestini che esplodono per la pressione fuoriuscendo dalla pancia ed i denti letteralmente scoppiano in bocca mozzando la lingua, non è dolore quello che ho provato.
Ho provato stupore.
Sentivo la gente intorno a me urlare inorridita sentivo ogni singola voce.
Gli occhi non credo funzionassero ancora tuttavia potevo vedere.
Non so quanto sia durata quest’agonia.
Alcuni si disperavano per lo spettacolo ma io no, stavo bene.
Benissimo, come non ero mai stato.
Non so quanto sia durato quest’oblio.
Ma per me è stato sorprendentemente lungo e piacevole.